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Ragionamento su Mirko - Flaminio Gualdoni

Ragionamento su Mirko - Flaminio Gualdoni

Scrive Pablo Picasso che "i feticci sanno che le cose non sono come crede la gente... I feticci sono armi...". E la scultura di Mirko Basaldella è qui a dirci come, per il secolo tutto delle avanguardie, una via non secondaria abbia perseguito con tenacia talora anche inattuale la via opposta all'oltranza del nuovo, dell'originale, preferendo riportarsi alle radici dell'esprimere, ai fondamenti atavici del formare, alla ricerca del momento in cui la forma plastica si fa individuum non per convenzione retorica o culturale ma per incoercibile e radiante energia vitale. Non si è trattato beninteso, per lui, solo di aggirare le secche stilistiche d'un classicismo ormai inanimato guardando alla lezione del primitivismo, così come è stato d'una intera generazione intorno ad Arturo Martini. E neppure di ricostituire in alternativa un apparato di modalità autres, per citazione e discorso indiretto, per virgolettato intellettuale.

Egli ha fatto di più. Ha guardato, come scriveva già nel 1939 Libero De Libero, "in quella parte remota della memoria, ove taluno è antenato a se stesso", e vi ha ritrovato le ragioni prime del plasticare e dello scolpire, dell'essere artefice. Per declinarne i flussi nell'oggi, in una dimensione di storicità mai derogata, ma allo stesso tempo con la sapienza e la tensione primigenia ritrovate alla fine del viaggio entro i modi, entro le tecniche, entro le forme, sino al grumo iniziale in cui l'opera prende a generarsi per necessità. "Io sono l'argilla", si legge nel Libro. Ed è da questa consapevolezza, di un creare demiurgico non per dominio ma per amore, che nascono tra guerra e dopoguerra le stagioni ultime di Mirko. Il suo plasticare legato, scrive egli stesso, "a motivi più profondi e remoti, mossi da impulsi dell'essere primordiale inconscio", passa attraverso il recupero di schemi iconografici come la maschera, il feticcio, l'idolo, su su sino a ritrovare la ragione ancestrale del totem. E' scultura metamorfica, ora, che trasfigura il saputo iconografico facendolo collidere con la memoria dei mille primitivismi, l'arte mesoamericana come l'africana come la medievale, e prendendo il passo di una mutazione ulteriore, che nel processo stesso di formazione s'intride di umori simbolici, di suggestioni magiche, di echi allegorici. E', per dire con un testo memorabile di Roberto Melli, "un plastico che nasce dal misterioso e non dalle apparenze, non dalle convenzioni, non dall'astrattismo, dal poetismo generico più o meno romantico, dall'estetismo, dal culturalismo.

Nasce dalla terra. Traslazione della spettrale sostanza umana nella spettrale sostanza della materia. Sentimento concreto, idea concreta, forma concreta"A tutto Mirko ricorre, senza prevenzioni di poetica. Ausculta la formatività propria della materia sino a spingerla alla lacerazione; plastica e insieme combina per apposizione sino a forzare una sintassi probabile di forma; colora ove occorra, ma allo stesso tempo accogliendo ed eccitando il colore identitario della materia. Costruisce, soprattutto; ma come in una sorta di impreventiva sapiente cecità, non stabilendo un percorso e un destino oggettivo, bensì usando ogni elemento come signum di se stesso e d'altro, per concrezione che, sulla scorta di Leroi-Gourhan, verrebbe da dire pensiero prealfabetico, radiante come le forme naturali delle quali è summa più che specchio. E' scultura tutta calata nell'oggi, tuttavia, ben lontana dagli ortopedismi e dai bamboleggiamenti arcaizzanti che valgono rifiuto, almeno sottrazione, dalla condizione attuale. Non guarda al passato, Mirko: e opere come quelle per il Mausoleo delle Ardeatine e per Mathausen sono lì a testimoniarlo in modo inequivocabile. E' mitopoietica perché è, primariamente, etica, capacità e scelta di assumere su se stessi, nell'intimo senza difese e clausole del proprio avvertimento esistenziale, il sapersi nella storia; e a un tempo capacità e scelta di corrispondervi con il gesto fondativo della scultura, del segno sorgivo che penetra e stabilisce e da qui irradia senso pulsante, come il primitivo faceva quando alfabeto e segno erano una cosa sola, nel logos originario.Un'ulteriore considerazione, ispirano allo sguardo retrospettivo dell'oggi queste opere. Essa riguarda la loro capacità di mantenere entro di sé le frequenze del sacro, dello ieratico, pur in una condizione di perfetta antimonumentalità. E' perché esse non si pongono il problema del monumento, ma quello del senso. E' perché, appunto, i feticci sono armi.

Comunicato curato da: Galleria d'Arte Excalibur

Ultimo aggiornamento: 17/10/2005 (16:53)

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